L’acqua e gli insolubili (parte 2)

Completiamo l’analisi cominciata nell’articolo precedente sugli elementi insolubili in acqua con carica elettrica +3, +4 e +5 analizzando il comportamento del carbonio C.

Come il fosforo, si tratta di un altro elemento molto utilizzato dalla natura per la costruzione della materia vivente.  Applichiamo la formula solita:

sempre in condizione di pH = 7 e considerando che:

– la carica elettrica è pari a z = +4

– il numero di molecole d’acqua solvatanti in zona A è pari a k = 3

– l’elettronegatività del carbonio è pari a EN(C) = 2,50

otteniamo un numero di protoni pari a n = 5, cioè ancora una volta una forma aggregata fortemente complessante del tipo (HCO3) che si lega facilmente col calcio per dare un prodotto molto stabile quale è il carbonato di calcio CaCO3. Il carbonio è un elemento indispensabile per la materia vivente e si trova in atmosfera sottoforma di anidride carbonica CO2 responsabile, come sappiamo dell’effetto serra. Per evitare concentrazioni troppo elevate di anidride carbonica in atmosfera che indurrebbe un riscaldamento globale insopportabile per gli esseri viventi, ecco che viene fissata dal calcio sottoforma di calcare solido(1).

Nei mammiferi d’allevamento (ma il discorso vale anche per l’uomo), lo ione (HCO3) viene utilizzato per liberare carbonio sottoforma di CO2(2).  

Ma in carbonio si lega all’idrogeno con un’elettronegatività differenziale minima. Applicando la formula soprariportata considerando lo ione CO3+ (z = +3) anziché lo ione CO4+  (z = +4)e 2 molecole d’acqua solvatanti (k=2) anziché 3 (k = 3) come fatto sopra, otteniamo n = 3,5(3); ciò consente la formazione dell’acido carbossilico responsabile del legame peptidico che a sua volta consente di costruire le proteine.

Applicando la formula soprariportata considerando lo ione CH22+ anziché lo ione CO4+  e 1 sola molecola d’acqua solvatante, otteniamo n = 2,2 che consente la formazione della formaldeide.

Infine applicando la formula soprariportata considerando lo ione CH3+ anziché lo ione CO4+  e 1 sola molecola d’acqua solvatante, otteniamo n = 0,5 che consente la formazione del metanolo(4).

Come vediamo il carbonio nelle sue forme idrocarbonate in soluzione acquosa, analizzato con questo modello mostra chiaramente che consente la formazione di composti importantissimi per la sussistenza della sostanza vivente (ioni carbonati, aldeidi, chetoni, acidi organici, alcoli, ecc.). Inoltre combinando più molecole di alcoli otteniamo gli zuccheri che, a loro volta, se policondensati formano i glucidi, mattoni essenziali per la materia vivente. Se poi combiniamo uno zucchero al fosforo otteniamo i nucleotidi dell’acido desossiribonucleico(5).

Il silicio (Si) appartiene anch’esso al gruppo del Carbonio, ma se proviamo a sostituirlo, facendo gli stessi calcoli, diversamente dal carbonio otteniamo dei policondensati. Ecco perchè la natura ha scelto il carbonio per costruire la materia vivente e il silicio per costruire le rocce(5).   

Per concludere l’analisi degli insoluti facciamo un esempio anche di un elemento del gruppo 3 (z = +3): l’alluminio Al3+ che può essere solvatato da 4 o anche 6 molecole d’acqua. Facendo gli stessi calcoli sempre con pH = 7 otteniamo n = 2,9 con differenziale di elettronegatività assai elevato(6); infatti, una volta policondensato in soluzione acquosa e trattato termicamente si ottengono materiali resistentissimi sia meccanicamente, sia alle alte temperature. Nella forma di allumina (Al2O3) mostra le stesse caratteristiche de Titanio (Ti) e dello Zirconio (Zr) entrambi elementi con differenziali di elettronegatività assai più bassi di quello dell’alluminio. Questi materiali sono particolarmente adatti anche a formare ceramiche o sostanze vetrificate. Il rubino altro non è che l’allumina, nella sua forma naturale monocristallina più nobile, con durezza pari a 9 nella scala di Mohs.

Alluminio e silicio nonostante abbiano polarità opposte (l’uno in forma di catione e l’altro di anione) manifestano entrambe la medesima affinità verso l’ossigeno(7).  

Con l’analisi degli elementi con valenza +3, +4  e + 5 abbiamo completato la disamina di ciò che accade in zona A e ciò ci ha dato la possibilità di capire molti meccanismi che stanno alla base della formazione di macromolecole e aggregati sia di natura organica che inorganica.

Nel prossimo articolo analizzeremo cosa invece accade in zona B dove il protagonista principale torna ad essere l’acqua con i suoi legami a idrogeno e, soprattutto nei suoi legami intermolecolari in forma polimerica.  

Torino 25 aprile 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) Il pianeta venere, pur essendo molto simile alla terra è reso inospitale proprio per la presenza di CO2 libera in atmosfera. Oggi, nonostante questi espedienti che la natura ha escogitato, l’effetto serra è fuori controllo per via delle emissioni nocive in atmosfera dovute alla esagerata combustione di combustibili fossili. Per ora la natura non si è ancora riorganizzata a contrastare questa insidia e dunque assistiamo ad un preoccupante incremento dell’effetto serra con conseguente riscaldamento globale ormai fuori controllo.

(2) Ciò aiuta la digestione quando si mangia o si beve troppo.

(3) Rispetto a prima dove lo ione interessato era C4+, ora si tratta di un equilibrio al 50% fra n = 3 (corrispondente alla forma HCOOH) e n = 4 (corrispondente alla forma ionica HCOO). In questi ragionamenti si fa uso di forme utilizzate solo ai fini del calcolo termodinamico e che potrebbero anche non essere riscontrabili sperimentalmente.   

(4) Questo ione consentirebbe anche la formazione della forma CH3OH2+ non riscontrabile in laboratorio. Ciò è dovuto al fatto che l’approccio lagrangiano porta ad un metodo semplificato che si comporta molto bene nei casi di differenziali di elettronegatività elevati mentre presta il fianco nei casi di differenziali deboli. In questo caso il fatto che il legame covalente con lo ione CH3+ non è tenuto in conto dal modello da ragione della discrepanza fra le previsioni del modello ed il riscontro sperimentale.

(5) Mentre il carbonio grazie alla valenza +4 ed al legame covalente con l’ossigeno da origine molto facilmente a polimeri molto plastici; il silicio, pur avendo anch’esso valenza 4 come il carbonio, legandosi all’idrogeno da un differenziale di elettronegatività molto forte, da origine a polimeri molto rigidi e amorfi (forme vetrose di vario genere). Comunque, indipendentemente dalla forma fisica dei polimeri anche il silicio, come il carbonio si presta a polimerizzazioni di vario genere e anche molto grandi in analogia a ciò che accade col carbonio. In ogni caso, anche nel caso del Carbonio, quando il differenziale di elettronegatività diventa molto elevato si ottengono forme polimeriche rigide come nel caso della cellulosa che da al legno una certa consistenza solida nonostante si tratti di materia organica.

(6) q(Al) è pari a 0,68 nel caso di 4 molecole d’acqua solvatante e 0,62 nel caso di 6 molecole d’acqua.

(7) La silice e l’allumina (assieme alla calce viva CaO) si combinano facilmente fra loro per costruire la maggior parte della materia costituente la crosta terrestre. Il cemento da costruzione è un esempio di combinazione di questi tre composti. Le argille silico-alluminose sono un esempio di combinazione fra silice ed allumina.

L’acqua e gli insolubili (parte 1)

Negli articoli precedenti abbiamo fatto un’analisi completa del comportamento di tutte le tipologie di sostanze solubili in acqua; sappiamo che l’acqua è un solvente quasi universale ma, nonostante ciò esistono numerose sostanze che risultano non solubili in acqua. In questo articolo approfondiamo proprio il comportamento dell’acqua nei confronti delle sostanze insolubili.

Nell’articolo precedente “La chimica con approccio Know why” abbiamo analizzato tutti gli elementi con carica elettrica +1, +2, +6 e +7. Tralasciamo i gas nobili conosciuti(1) perché sappiamo bene che essendo neutri e gassosi, se immessi in acqua ne fuoriescono rapidamente senza praticamente mescolarsi con l’acqua(2), e comunque senza modificare in alcun modo le proprietà intermolecolari dell’acqua. Rimangono da analizzare gli elementi con carica elettrica +3, +4 e +5 che, come noto non sono solubili in acqua. Gli atomi di ossigeno dovrebbero essere attratti da questi ioni metallici positivi, ma ciò è possibile solamente se il valore di “q” è maggiore di 0,30, altrimenti lo ione risulta troppo protetto per dar luogo all’accoppiamento con l’ossigeno. Ecco che gli ioni si trovano circondati da atomi di ossigeno e da gruppi OH. In ogni caso si assiste, come nel caso dell’acqua pura alla polimerizzazione con la differenza che in questo caso le forze di legame sono venti volte più forti. Mentre dunque nel caso dell’acqua pura la polimerizzazione è molto instabile e costituita da poche molecole d’acqua aggregate fra loro, in questa situazione, al contrario è molto stabile e costituita da numerose molecole aggregate fra loro attorno allo ione della sostanza che fa da aggregante(3) tanto da poter considerare questo stato polimerizzato una vera e propria fase diversa da quella liquida. A volte, a seconda degli ioni presenti in acqua, i polimeri arrivano ad essere costituiti da miliardi di molecole: è il caso delle particelle colloidali(4). Nel momento in cui questo stato di aggregazione diventa troppo grande si assiste ad una precipitazione della sostanza allo stato solido. Questo tipo di aggregazione è non solo tipico della chimica della natura ma è abbondantemente utilizzato anche dalla tecnologia per realizzare molte sostanze sintetiche polimerizzate.

Ma per non restare teorici cominciamo a fare alcuni esempi pratici utilizzando il metodo lagrangiano che ormai abbiamo ben imparato ad utilizzare. Utilizziamo la formula (2) ricavata nell’articolo precedente “La chimica con approccio Know why” che consente di calcolare il numero di protoni liberati in funzione del pH.

Applicando questa formula al fosforo P in condizione di pH = 7 e considerando che la carica elettrica è pari a z = +5 (siamo a cavallo tra solubile e insolubile), il numero di molecole d’acqua solvatanti in zona A è pari a k = 4, l’elettronegatività del fosforo è pari a EN(P) = 2,49, otteniamo un numero di protoni pari a n = 6, cioè una forma aggregata fortemente complessante del tipo (H2PO4)che si lega facilmente al calcio Ca++ e forma un materiale con ottime caratteristiche meccaniche. Ecco perché chimicamente il fosforo si presta ad essere utilizzato per la realizzazione di detersivi, oppure per rendere la carne ed il pesce più fragranti. Ed ecco perché costituisce l’unità energetica della cellula: proprio perché non condensa facilmente. Tutto ciò è facilmente deducibile anche applicando la formula (1) soprariportata; considerando che EN(Sl) = EN(P) = 2,11, otteniamo EN = 2,49 e q(P) = +0,19. Si tratta di un valore troppo piccolo affinchè possa avvenire la reazione 2H2PO4  — > HO3P-O-PO3H + H2O. Invece la reazione inversa risulta esotermica e si produce spontaneamente. I polifosfati quali l’ATP o l’ADP sono esempi che ritroviamo nella cellula e che sono possibili per via della differenza protonica esistente tra i due lati della membrana interna dei mitocondri. Se facessimo gli stessi calcoli col vanadio, che chimicamente si comporta come il fosforo, otterremmo q(V) = +0,48, valore che faciliterebbe la reazione spontanea 2H2VO4  — > HO3V-O-VO3H + H2O con formazione di un decondensato [V10O28] di cui la cellula non saprebbe che farsene.

Torino 13 aprile 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) A parte i gas nobili noti (Elio, Neon, Argon, Kripton, Xeno e Radon), nell’ultima colonna della tavola periodica esiste anche un elemento che si chiama Oganesson, e prende il nome definitivo dal chimico russo Jurij Colakovic Oganesian  (prima del 2016 era temporaneamente stato chiamato “ununoctio” e poi eka-radon). Pur essendone stata ipotizzata l’esistenza già da Bohr la sua effettiva esistenza è stata confermata dalla IUPAC e dalla IUPAP solo nel dicembre 2015. Si tratta di un elemento sintetico radiattivo (come il Radon) forse gassoso a 25°C. Alcuni scienziati pensano che possa avere le stesse caratteristiche degli altri gas nobili noti oltre ad essere un semiconduttore. Altri invece, piuttosto che un gas nobile, ritengono che sia in grado di formare ossidi, cloruri e fluoruri. Altri scienziati ancora ritengono che le sue proprietà si scambino con quelle del suo vicino di sinistra – il “flerovio – e che dunque l’Oganesson sia solido e non presenti le caratteristiche di un gas nobile, mentre il Fleronio, sarebbe gassoso e si comporterebbe come un gas nobile.  

(2) Grazie ad una struttura elettronica il cui orbitale più esterno è completo, i gas nobili presentano una grande inerzia chimica, ecco perché fino a pochi anni fa sembrava che questi elementi non reagissero chimicamente con altri elementi. Poi si è scoperto che almeno alcuni di essi possono reagire dando origine a fluoruri come ad esempio fluoruri di Xeno. Probabilmente quella blanda solubilità che si riscontra da parte dei gas nobili può essere dovuta alla loro reazione col fluoro. Ad esempio l’elio è assorbito molto facilmente da platino sugnoso, il neon è solubile in ossigeno liquido, in alcool etilico, acetone e benzene, l’argon è solubile in alcool etilico, il cripton è leggermente solubile in alcool etilico ed in benzene.

(3) In base alla misura del pH si evince che si tratta di polimeri costituiti da più di dodici molecole e che arrivano anche ad aggregati di milioni di molecole.

(4) Esempi di polimeri sono il policatione [Al13O4(OH2)12]7+, oppure il polianione [V10O28]6-. Esempi invece di colloidi sono: αFe2O3, oppure Al(OH)3 o ancora γAlOOH.

Trasmissione del coronavirus per teletrasporto

Circa dieci anni fa il grande virologo francese Luc Montagnier(1), scopritore nel 1983 dell’HIV e premio nobel per la medicina nel 2008, ha scoperto che il DNA disciolto in acqua fortemente diluita e microfiltrata emette segnali elettromagnetici a bassa e bassissima frequenza.

L’esperimento che mi accingo a citare dimostra che il DNA può essere trasferito via “etere” tramite segnali elettromagnetici. Esempi quotidiani di trasferimento di informazione sono le immagini e i suoni trasmessi da emittenti radiotelevisive e ascoltate e viste dai nostri ricevitori (radio e televisori), oppure i dati trasmessi un computer via internet e ricevuti da un altro computer distante migliaia di km, o ancora i segnali emessi da una stella distante anni luce e ricevuti dai nostri radiotelescopi sulla terra. La differenza fra questi vari tipi di onde elettromagnetiche è tutta e solo sulla frequenza o, se preferiamo, sulla lunghezza d’onda(2). Esiste un ampio “range” di frequenze suddiviso in “bande” che individua le varie tipologie di onda elettromagnetica; si parte dai cosiddetti “raggi gamma” a frequenze elevatissime fino alle basse frequenze delle onde radio(3).

Ebbene, Montagnier ha scoperto che il DNA emette onde radio a frequenza ultra-bassa compresa fra (500 Hz – 3000 Hz) chiamate ULF (Ultra Low Frequency) e tipicamente utilizzate per le comunicazioni all’interno delle miniere. Affinchè diventi emissivo il DNA ha bisogno di non essere disturbato da onde elettromagnetiche perturbanti e di essere eccitato con un campo elettromagnetico di frequenza estremamente bassa pari a 7,83 Hz(4), in grado di metterlo in risonanza (Risonanza di Schumann).  

Per il suo esperimento Montagnier ha utilizzato due diverse provette:

  1. la prima contenente un frammento di DNA in acqua sottoposta a numerosi cicli di diluizione-succussione nonché a microfiltrazione
  2. la seconda contenente acqua distillata

Dopo 18 ore entrambe le provette emettevano onde elettromagnetiche e dopo 20 ore, anche l’acqua distillata conteneva il frammento di DNA identico a quello della prima provetta.

La conclusione tratta da Montagnier è stata che il frammento di DNA è stato trasferito da una provetta all’altra tramite le onde elettromagnetiche ULF. Per verificare se questa ipotesi era vera, ha registrato nel suo laboratorio in Francia il segnale elettromagnetico prodotto da una provetta contenente il frammento di DNA e la ha trasmessa al prof. Vitiello(5) in un laboratorio di Benevento. Il prof. Vitiello ha indirizzato questo segnale su una provetta piena d’acqua distillata e dopo aver atteso alcune ore, nell’acqua distillata si è ricostruito esattamente lo stesso frammento di DNA presente nella provetta francese di Montagnier(6).     

Al fine di garantire il sacrosanto principio galileiano della replicabilità l’esperimento è stato ripetuto per ben 12 volte ottenendo sempre gli stessi risultati.

Questo esperimento, pur essendo così eclatante, e nonostante sia garantito da un premio nobel del calibro di Montagnier, purtroppo non è conosciuto dal grande pubblico. A mio avviso il motivi sono molteplici. Innazitutto il fatto che l’esperimento richieda acqua ultra diluita e assoggettata a ripetuta succussione, ossia la stessa acqua necessaria all’ottenimento dei prodotti omeopatici;  ciò non aiuta di certo in quanto i prodotti omeopatici, come noto, non sono approvati dalla comunità scientifica internazionale. Personalmente anch’io sono scettico sull’efficacia dei prodotti omeopatici, ma fatico a capire la connessione fra l’esperimento di Montagnier ed i prodotti omeopatici.

Un secondo motivo che ha contribuito a non dare troppa enfasi a questo esperimento è che Montagnier è stato artatamente preso ad esempio da tutti i pseudo-scienziati che si rifiutano di accettare i severi controlli di veridicità da parte della comunità scientifica e pretendono di accreditare i loro risultati senza sottoporli prima alla verifica da parte della comunità scientifica o, ancor peggio pretendono l’accettazione di esperimenti non ripetibili. Tali sedicenti scienziati, per  giustificare la non ripetibilità adducono varie giustificazioni come ad esempio gli studi svolti nel secolo scorso dal grande chimico fiorentino Giorgio Piccardi(7) che, dopo più di venti anni di sperimentazione ha dimostrato che la precipitazione dell’ossicloruro di bismuto è apparentemente non ripetibile perché risente di fenomeni cosmici come le macchie solari, le eclissi, l’attività magnetica del sole, la diversa velocità della terra attorno al sole, ecc. Ma anche in questo caso mi permetto di osservare: cosa c’entra Montagnier con tali sedicenti scienziati ?  

Un altro motivo per cui questo esperimento non ha avuto la fama che meriterebbe è, anche a mio avviso dovuto al fatto che si tratta di un esperimento che riguarda l’acqua e, come sostiene il Prof. G. H. Pollack(8): “Gli scienziati stanno lontani dall’acqua ….. Questa sostanza sembra avere acquisito un carattere quasi mistico ….. Questo alone mistico rende la ricerca sull’acqua una faccenda potenzialmente rischiosa; …. La seconda cosa che ha indotto gli scienziati a rifuggire dall’acqua è legata a due incidenti sociopolitici ….. il cosiddetto disastro della poliwater(9) ……  e il cosiddetto incidente della memoria dell’acqua(10)”.

In ogni caso, a me questo esperimento sembra stupefacente e dimostra che fra non tanto la tecnologia ci consentirà teletrasportare la sostanza vivente, cioè di trasferirla esattamente come ora facciamo con le immagini e i suoni dei nostri televisori. Presto potrebbe accadere che il Coronavirus non si trasferisca solo per contagio ma anche per teletrasporto!!

Torino   5 Aprile 2020

Gianfranco Pellegrini

NOTE

  1. Luc Montagner è un famosissimo virologo francese professore all’Istituto Pasteur di Parigi, e attualmente presidente della fondazione mondiale per la ricerca e prevenzione dell’AIDS. E’ stato fortemente criticato dalla comunità scientifica internazionale per il suo impegno negli studi sulla omeopatia. Ecco forse il motivo per il quale è passata quasi inosservata la pubblicazione nel 2011 nel “Journal of Physics” dell’articolo intitolato: “DNA waves and water” oggetto di questo articolo.
  2. Per le onde elettromagnetiche vale la seguente relazione fra frequenza “f” e lunghezza d’onda λ: f=c/ λ dove c è la velocità della luce ed è costante quindi, ad una determinata frequenza corrisponde una ben precisa lunghezza d’onda e viceversa; ecco perché parlando di onde elettromagnetiche è indifferente caratterizzarle mediante la lunghezza d’onda o tramite la frequenza.
  3. Lo spettro elettromagnetico è suddiviso nelle seguenti bande: raggi gamma (≥ 3·1018 Hz), raggi X (3·1016 – 3·1018), raggi ultravioletti (7,49·1012 – 3·1016), banda del visibile (4,28·1012 – 7,49·1012), raggi infrarossi (3·1011 – 4,28·1012), microonde (2,5·108 – 3·1011), alle onde radio (≤ 2,5·108).
  4. Questa frequenza fa parte delle onde radio di tipo ELF (Extremely Low Frequency) tipicamente utilizzate nella comunicazione radio con i sottomarini, per la ispezione delle tubazioni e per lo studio del campo magnetico terrestre.
  5. Giuseppe Vitiello è ordinario di Fisica Teorica all’Università di Salerno, si occupa di fisica delle particelle elementari applicate ai sistemi biologici, alle neuroscienze e al cervello. Collabora col Prof. Montagnier nella ricerca sul DNA di virus e batteri e con Walter J. Freemann, professore all’Università di Berkley (CA) nella ricerca sulle neuroscienze. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni fra cui, assieme a M. Blasone e P. Jizba il libro “Quantum Field Theory and its macroscopics manifestations”.  
  6. Per individuare i frammenti di DNA entrambe le provette – quella a Parigi e quella a Benevento, sono state entrambe sottoposte al medesimo trattamento di routine tipico per ricostruire tracce di DNA, ossia l’utilizzo di enzimi e basi azotate e innescando una reazione a catena cosiddetta PCR (polimerasi).
  7. Giorgio Piccardi (1895 – 1972) è stato un grande chimico, è stato direttore dell’Istituto di Chimica Fisica di Firenze dal 1947 al 1965. E’ diventato famoso per l’influenza dei fenomeni cosmici sui risultati sperimentali; famosi anche i suoi studi sull’attivazione dell’acqua poi ripresi da Capel-Boute e quelli sulla viscosità e sulla tensione superficiale dell’acqua attivata.
  8. Gerard H. Pollack è il fondatore della rivista “Water”. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali fra i quali,  vincitore del “Prigogine Medal” per i suoi studi sulla termodinamica dei sistemi dissipativi, Laurea Honoris Causa all’università russa di Ekaterinburg, Professore onorario dell’Accademia delle Scienze russa, ecc. Dirige il Pollack laboratory all’Università di Washington. Il riferimento soprariportato è tratto dal suo libro più famoso: Gerald H. Pollack – La quarta fase dell’acqua – 1a ed. italiana – Sapio – luglio 2018”.
  9. L’affaire “Poliwater” risale al 1957 quando il chimico russo Nikolay Fedyakin riuscì ad incuriosire Boris Derjaguin, il più grande chimico fisico all’epoca in Unione sovietica che mise in piedi un gruppo di ricerca che scoprì l’esistenza di una quarta fase dell’acqua. Complice anche la guerra fredda molto intensa in quegli anni, Derjaguin fu demolito dalla stampa internazionale tanto da costringerlo ad ammettere che gli esperimenti da lui fatti risentivano del fatto che l’acqua utilizzata era impura e dunque i risultati non erano da considerarsi attendibili. Gli studi sulla quarta fase dell’acqua sono poi stati ripresi da Gerald H. Pollack con sviluppi interessantissimi di cui parlerò diffusamente in articoli successivi.
  10. Il termine “memoria dell’acqua” è stato coniato dall’immunologo francese Jacques Benveniste (1935 – 2004) direttore di ricerca dell’INSERM (Institut National de la Santè et de la Recherche Médicale) di Parigi e capo dell’unità di immunologia. E’ diventato tristemente famoso per una ricerca sulla “memoria dell’acqua”. Il direttore della rivista “Nature” mise in piedi una commissione scientifica che riscontrò una manipolazione dei risultati da parte di Benveniste. Si scoprì successivamente un conflitto di interessi fra Benveniste e l’industria francese di prodotti omeopatici. Questo scandalo contribuì non poco ad affossare la ricerca sull’acqua.   

La chimica con approccio “Know why”

In controtendenza con l’approccio “Know how” imperante, continuo imperterrito a virare verso un approccio “Know why”. Tutti i libri di chimica spiegano quali reazioni avvengono e quali no e come esse avvengono, ma raramente viene spiegato il perché esse avvengano.

Questo articolo dedicato alle sostanze solubili in acqua, nel generalizzare l’esempio sullo ione Cl7+ a tutti gli elementi della tavola periodica ci mostrerà perché certe reazioni chimiche avvengono naturalmente ed altre no. Seguirà un capitolo che, analizzando l’insieme delle sostanze non solubili completerà la generalizzazione che ci accingiamo a fare. La suddivisione fra “chimica elettronica” e “chimica protonica” ci mostrerà quanto è intimo il rapporto fra gli elementi chimici presenti in natura.

Alla fine di questo e del prossimo capitolo squarceremo un velo sulla realtà che ci circonda e capiremo qualcosina in più sui meccanismi di interazione tipici della realtà animata e anche di quella inanimata.

Riprendiamo la formula [Cl(H2O)4](7-n)+ utilizzata nell’articolo precedente per lo ione Cl(7-n)+ che si trova nella zona di solvatazione A):

Generalizziamo la (1) sostituendo i seguenti simboli:

  • Sl            un soluto qualunque
  • k             il numero di molecole d’acqua solvatante in zona A
  • z             la carica elettronica
  • n            il numero di protoni determinati in base al pH della soluzione
  • EN(Sl)    l’elettronegatività del soluto Sl

Si tratta di trovare l’EN relativo alla seguente formula generale:  [SlOkH2k-n](z-n)+. Sostituendo nella (1) i simboli sopra elencati otteniamo:

Questa formula ci consente di calcolare il numero di protoni “n” per qualunque tipo di sostanza solubile in acqua(1):

Facendo la discussione in funzione di “k”(2) si ottiene:

  • per n < 0                            il soluto non avrà alcuna proprietà acida             
  • per n >2k                           il soluto non avrà alcuna proprietà basica
  • per 0 < n < 2k                   in zona A, assieme al soluto coesisteranno anche gruppi OH.

Ad esempio in caso di pH neutro (pH = 7) la (2) diventa:

Prendendo ad esempio in esame gli alogeni (z = -1) otteniamo la seguente tabella:

Tabella 1

Come si vede il numero “n” di protoni determinati in base al pH della soluzione è sempre negativo e dunque, nel caso di questi ioni, il soluto non possiede in nessun caso proprietà acide.

Nel caso degli elementi con z = – 2 otteniamo:

Tabella 2

Anche in questo caso il numero “n” di protoni determinati in base al pH della soluzione è sempre negativo e dunque il soluto non possiede alcuna proprietà acida. Se ora analizziamo gli elementi alcalini (z=+1) abbiamo:

Tabella 3

Come si vede il numero “n” di protoni determinati in base al pH della soluzione è anche in questo caso sempre negativo e dunque, anche in questo caso, il soluto non possiede alcuna proprietà acida per nessuno degli ioni elencati.

Ma ci basta aumentare la carica elettronica (z=+2) e le cose cambiano:

Tabella 4

Come si vede il numero “n” di protoni determinati in base al pH della soluzione diventa positivo ed in particolare, nel caso del calcio il valore di “n” è prossimo all’unità e corrisponde alla formula [CaOH(OH2)7]+.

Facendo il calcolo per tutti gli elementi presenti in natura, come ci si può aspettare ritroviamo i principali ioni presenti nel citoplasma delle cellule ognuno adatto a svolgere un ruolo ben preciso.

In particolare, come noto, gli ioni Cl assicurano la neutralità elettrica della cellula; gli ioni calcio Ca++ sono i responsabili della contrazione muscolare, gli ioni potassio K+ assieme agli ioni sodio Na+ regolano la concentrazione del soluto all’interno della cellula garantendo un potenziale negativo nella membrana grazie all’attivazione dell’ATP, gli ioni Sodio Na+ sono invece responsabili di molti meccanismi inerenti il sistema nervoso.

Per capire che la natura non sceglie gli elementi a caso vediamo qualche esempio pratico.

Immaginiamo di sostituire lo ione calcio Ca++ con lo ione magnesio Mg++; in condizioni di pH neutro, dalla tabella 4 sopra riportata otteniamo n = +1,42 corrispondente ad una via intermedia fra n = 1 –> Mg(OH)+ ed n = 2 –> Mg(OH)20. Sostituendo il cadmio Cd++, sempre dalla tabella 3 otteniamo n = +1,80 e la situazione è simile alla precedente ma, con una prevalenza in questo caso di complessi Cd(OH)20 rispetto a quelli Cd(OH)+.

Se proviamo a sostituire allo ione Na+ lo ione argento Ag+  (En=1,68), sempre in condizioni di pH neutro, applicando la formula (3) otteniamo n = +0,6 e dunque nella zona A) gran parte del soluto si trova in forma neutra AgOH0 impedendo di fatto la generazione di un potenziale nella membrana cellulare.

Facendo i calcoli per tutti gli elementi, si può constatare che una buona parte di ioni si trova in forma neutra, assai meno solubile della forma dotata di carica e dunque non adatti ai meccanismi cellulari.

Il fluoro F assomiglia molto al cloro Cl ma è troppo simile allo ione OH e, sostituendosi a questi ultimi, condizionerebbe troppo i cationi delle cellule neutralizzandoli(3).  

Al contrario, come si vede nella tabella 3 sopra riportata, possiamo constatare che, ad esempio ioni come lo ione stronzio Sr++ o bario Ba++ potrebbero tranquillamente sostituire il calcio Ca++ ma, se andiamo a vedere l’abbondanza naturale nella crosta terrestre di questi elementi, scopriamo che è in entrambi i casi nettamente inferiore rispetto a quella del calcio(4) e dunque ecco perché la natura ha scelto il calcio: semplicemente perché è più facile da reperire. Allo stesso modo come si vede nella tabella 1 sopra riportata, possiamo constatare che lo ione bromo Br e lo ione iodio I hanno valori di “n” prossimi a quelli del cloro Cl ma, anche in questo caso, l’abbondanza naturale nella crosta terrestre di questi elementi, è nettamente inferiore rispetto a quella del cloro(5) e dunque ecco perché anche in questo caso la natura ha scelto il cloro come ione per contrastare i cationi cellulari Na+ e K+, entrambi abbondanti in natura(6).

Se analizziamo gli ioni con z > 6, essi si trovano tutti sottoforma di ioni ossigenati (es. ClO4, MnO4, TcO4).

Per lo ione zolfo N5+ (k=3) otteniamo n = 6,5 > 2k = 6 e dunque in questo caso il soluto non avrà alcuna proprietà basica ed avrà una forma NO3 totalmente priva di protoni liberi. In questo caso il soluto non avrà alcuna proprietà basica e scopriamo che il potere condizionante dello ione nitrato NO3 è talmente basso da consentire la libera circolazione dell’azoto gassoso nell’atmosfera terrestre. Tale libera circolazione dell’azoto in forma gassosa giova tantissimo ai vegetali che fanno largo uso dello ione nitrato NO3 quindi, in definitiva, questa proprietà  è assai utile per l’intera catena alimentare.

Per lo ione zolfo S6+ (k=4) otteniamo n = 7,4 < 2k = 8 e dunque in questo caso in zona A) coesistono ioni OH e le due forme HSO4 e SO42- stanno in equilibrio fra loro. Dato che n = 7,4 è molto vicina a 2k = 8 vi è una prevalenza di ioni SO42- e dunque questi anioni risulterebbero comunque troppo ossidanti per essere utilizzati in modo diretto dalle cellule; ecco perché è necessario l’intervento di anioni minerali solubili in grado di contrastare i cationi solubili cellulari. Come si vede, lo ione zolfo S6+, al contrario dello ione N5+ ha un potere condizionante molto elevato e lo ione solfato SO4-2 si fissa allo stato solido molto fortemente al calcio per formare il gesso [CaSO4,(H2O)n] evitando che circoli liberamente in atmosfera; ciò è assai importante per la sopravvivenza in quanto è velenoso per le specie viventi.

Torino 28 marzo 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

  1. Per arrivare alla formula finale abbiamo fatto uso della formula ricavata nell’articolo precedente “Potere mimetico dell’acqua” che mette in relazione il pH con l’elettronegatività dell’acqua pura: EN(H2O) = 2,732 – 0,035pH.
  2. Si tenga conto che MAX[EN(Sl)] = 5,10, MAX(z) =8,  MAX(pH) = 14, MAX(k) = 8.
  3. In chimica la sostituzione di un anione con un catione è anch’esso un fenomeno modellizzabile con l’approccio lagrangiano che stiamo utilizzando. Senza entrare troppo in dettaglio possiamo dire che il potere sostitutivo dei seguenti anioni aumenta secondo l’ordine seguente: [ClO4] <  [No3] < Cl ≈ Br ≈ I << [CH3COO] < [SO4]2- ≈ [C2O4]2- < F- ≈ OH << [PO4]3- << [SiO4]4-.  Un approfondimento di questo argomento ci porterebbe fuori tema per cui si rimanda a lavori specifici come ad es. (M. Henry, J. P. Jolivet, J. Livage – Structure and Bonding – 1991, o anche J. Livage, M. Henry, J. P. Jolivet, C. Sanchez – Mat. Res. Soc. Bull., 15, 18 – 1990).
  4. L’abbondanza naturale dello stronzio è pari a 375 PPM , quella del bario è pari a 425 PPM e quella del calcio è pari al 41.000 PPM (Fonte Taylor 1964). Questa fonte è datata; è assai probabile che in 56 anni l’abbondanza di stronzio e bario sia scesa.
  5. L’abbondanza naturale del bromo è pari a 2,5 PPM , quella dello iodio è pari a 0,5 PPM e quella del cloro è pari al 130 PPM (Fonte Taylor 1964). Questa fonte è datata.
  6. L’abbondanza naturale del sodio è pari a 24.000 PPM , quella dello potassio è pari a 21.000 PPM (Fonte Taylor 1964). Questa fonte è datata.

Potere mimetico dell’acqua

In questo articolo scopriremo la grande capacità dell’acqua ad adattarsi al tipo di soluto con cui reagisce. 

Prendiamo come esempio il catione Cl7+, ossia l’atomo di cloro privato dei sette elettroni più esterni e analizziamo il suo comportamento in acqua pura. Si tratta di un atomo di piccole dimensioni(1) e dunque potrà essere solvatato al massimo da quattro molecole d’acqua:

Cl7+ + 4 H2O –> [Cl(H2O)4]7+

Applicando le regole che abbiamo imparato ad utilizzare negli articoli precedenti e facendo uso della tabella di Henry, otteniamo:

q(H) = 0,507(EN + 2,1) = +0,80

Si tratta del quadruplo del q(H) per l’acqua pura (+0,20); il livello di polarizzazione del legame O – H da parte del soluto risulta talmente elevato che, piuttosto che solvatare lo ione Cloro, il protone preferirà legarsi all’acqua mediante legame O – H, il cui q(H) è decisamente minore q(H) = +0,32(2).

I chimici chiamano “idrolisi”(3) questa fuga dei protoni dal nucleo centrale A) di solvatazione verso la zona B)(4). Per sapere quando un tale processo si arresta basta riprendere la formula che mette in relazione l’elettronegatività con in pH(5):

EN(H2O) = 2,732 – 0,035pH  (2)

Il processo si arresterà quando il pH relativo al catione idrolizzato eguaglierà quello relativo al catione non idrolizzato. Per effettuare questo calcolo generalizziamo la formula (1) soprariportata:

Dove “n” rappresenta il numero di protoni perduti dalla specie [Cl(H2O)4]7+ che dunque diventa [Cl(H2O)4](7-n)+.

Eguagliando la (2) e la (3) si ottiene:

Da cui si ricava:

Nelle condizioni di massima acidità (pH≈0), si trova n= 8,3 > 8. Questo valore ci indica inequivocabilmente che anche in condizioni di acidità estrema la zona di solvatazione dello ione Cl7+ (zona A) risulterà priva di protoni. Queste considerazioni ci permettono di concludere che nella soluzione, piuttosto che cationi Cl7+ troveremo anioni ClO4. In effetti è esattamente ciò che si ritrova in pratica; l’approccio lagrangiano ci ha consentito di verificare con calcoli semplici il fatto sperimentale.

Generalizzando il concetto possiamo concludere che, in queste condizioni, l’acqua in zona A) perde completamente le sue capacità anioniche e mantiene esclusivamente quelle cationiche. L’esempio che abbiamo approfondito in questo articolo mostra come l’acqua sia in grado di adattarsi meravigliosamente al tipo di soluto col quale si trova a coesistere.    

Torino 15 marzo 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) Il suo raggio atomico è pari a circa 0,2 Ångström.

(2) Come abbiamo visto nell’articolo precedente “Relazione fra elettronegatività e pH per l’acqua”, abbiamo visto che il legame O – H corrisponde a [H+, (H2O)2] equivalente a [H5O2]+  con EN = 2,732 e q(H) = 0,507(EN – 2,1) = +0,32.

(3) In formule si può scrivere:

[Cl(H2O)4]7+ + 2H2O –> [ClOH(H2O)3]6+ + [H2O]+

Facendo gli stessi calcoli dell’EN fatti per [Cl(H2O)4]7+ si ottiene per il catione idrolizzato EN[Cl(H2O)4]7+ = 3,63 contro un valore di 3,67 per il catione non idrolizzato [ClOH(H2O)3]6+. Se si continuano a sottrarre protoni si arriva ad un valore minimo di EN pari a 2,86 corrispondente all’anione [ClO4]+ (ione iperclorato).

(4) Come visto nella nota 3) dell’articolo precedente “Potere solvatante dell’acqua”, l’acqua in presenza di soluto è composta di nuclei di solvatazione (zona A che i chimici chiamano “sfera di coordinamento”), circondati da acqua pura (zona C) e, tra zona A) e zona C), esiste una zona B) di interfaccia in cui le molecole d’acqua subiscono l’influenza sia da parte delle molecole della zona A), sia di quelle imperturbate della zona C).

(5) Vedi l’articolo precedente “Relazione fra elettronegatività e pH per l’acqua”.

Relazione fra elettronegatività e pH per l’acqua

Nel capitolo precedente, nell’acqua in presenza di soluti abbiamo identificato 3 zone:

ZONA A)              Acqua polarizzata perché in contatto diretto col soluto

ZONA B)              Acqua con proprietà intermedie fra quella della zona A) polarizzata e quella

della zona C) non perturbata dal soluto

ZONA C)              Acqua non perturbata dal soluto.

Cominciamo con l’approfondimento delle caratteristiche dell’acqua appartenente alla zona A).

La prima osservazione da fare è che la molecola d’acqua imperturbata ha polarità negativa pari a -0,40 sul lato dell’ossigeno e polarità positiva pari a 0,20 + 0,20 = +0,40 sul lato dei due atomi di idrogeno(1). Questo significa che le interazioni avvengono sia con gli ioni positivi (legami a ossigeno), sia con quelli negativi (legami a idrogeno).

Osserviamo anche che tutti i soluti saranno sempre solo parzialmente schermati dalle molecole d’acqua perchè non avranno mai elettronegatività esattamente pari a ±0,40. Fanno eccezione le sostanze apolari come ad esempio gli olii e i grassi che non mostrano alcuna interazione con le molecole d’acqua e per questa ragione vengono definite sostanze idrofobe. In questo caso si assiste a fenomeni di precipitazione o di “segregazione” dove cioè, molecole d’acqua “circondano” le molecole della sostanza idrofoba.  

Se dovessi analizzare l’interazione fra l’acqua e i soluti solo dal punto di vista elettronico, le tre categorie di sostanze che abbiamo descritto – polari positive, polari negative e apolari – sarebbero sufficienti a descrivere tutte le casistiche e non avrei nient’altro da aggiungere; in realtà occorre analizzare le cose anche dal punto di vista protonico, dato che l’atomo di idrogeno privato del suo elettrone H+, altro non è che un protone.

Anche in questo caso, per gli stessi motivi addotti nel caso elettronico, l’approccio lagrangiano ci consente di semplificare di molto l’analisi di fenomeni che – è meglio non dimenticarlo mai – sono di natura quantistica.

Lo ione idrogeno (cioè il protone) è molto piccolo e può essere solvatato al massimo da due molecole di acqua (H5O2+). Se una terza molecola d’acqua tentasse di avvicinarsi alla zona A) di solvatazione, le due molecole d’acqua già presenti si avvicinerebbero talmente tanto che le rispettive “nuvole elettroniche” degli atomi di ossigeno appartenenti a queste molecole si respingerebbero fra loro perché l’effetto elettrostatico comincerebbe a farsi sentire in modo rilevante(2).    

Proviamo a calcolare i valori di q e di EN come ormai abbiamo imparato a fare negli articoli precedenti e facendo uso della solita tabella di Henry.

La differenza fra q(H) e q(O) è talmente piccola da rendere altamente improbabile la presenza di protoni liberi, a meno che non siano particolarmente numerosi. Una diluizione molto spinta porta ad una naturale dissociazione delle molecole d’acqua tale da garantire una concentrazione costante di protoni(3).

Come abbiamo visto negli articoli precedenti, nel caso dell’acqua pura il valore di EN è pari a 2,49(4) quindi, in virtù della natura quantistica del protone, si può affermare che, in base alla concentrazione protonica nell’acqua, il valore di EN varia fra 2,73 e 2,49.  Questo fatto ci consente di trovare un’importantissima correlazione fra l’elettronegatività e il pH(5).

La formula chimica che definisce il potenziale chimico degli elettroni – e dunque anche dei protoni – è la seguente:

Essendo:

  • μ        il potenziale chimico elettronico (=protonico) in acqua avente concentrazione di ioni idrogeno pari a cH
  • cH       la concentrazione di protoni (o di ioni idrogeno che è la medesima cosa)
  • μH0    il potenziale chimico elettronico (=protonico) in acqua pura
  • R        la costante dei gas perfetti pari a 8,314 J/mol K
  • T        la temperatura assoluta misurata in K
  • Ln. il logaritmo naturale

Tenendo conto del fatto che pH = -log(cH) e che Ln(x) = 2,3·Log(x) (6) la relazione precedente può essere scritta così:

Tenendo conto del fatto che il potenziale elettrochimico è proporzionale all’elettronegatività e chiamando k il coefficiente di proporzionalità possiamo scrivere:

Dunque possiamo scrivere:

Per determinare il valore di k basta considerare che a 25°C (= 298,15 K) con pH = 7 abbiamo EN(H2O) = 2,491 e dunque:

Così otteniamo finalmente la relazione fra elettronegatività dell’acqua e il suo pH:

Questa è una relazione fondamentale che discende direttamente dal fatto che i protoni – come gli elettroni – sono particelle indistinguibili fra loro e non localizzabili con precisione; ciò ha conseguenze importantissime per la materia inanimata ma, soprattutto, per quella animata; più in là nel nostro percorso di approfondimento di questo elemento così affascinante come è l’acqua avremo modo di approfondire le conseguenze di questa relazione.

Torino 29 febbraio 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) Si faccia riferimento all’articolo precedente “La chimica semplice applicata all’acqua”.

(2) In realtà in zona B) esiste uno strato di molecole H9O4+,  ma queste si trovano ad una distanza tale da rendere irrilevante l’effetto elettrostatico fra gli atomi di ossigeno.

(3) Ad esempio, a 25°C la concentrazione minima in protoni non può essere minore di 10-7 moli/litro;  

(4) Si faccia riferimento all’articolo precedente “Potere solvatante dell’acqua”.

(5) pH = -log(cH) è proprio la concentrazione di protoni di cui stimo discutendo. Il pH varia fra i valori 0 (massima acidità) e 14 (massima basicità). In riferimento alla nota 2) precedente, la concentrazione minima corrisponde ad un pH = -log(10-7) = -(-7)log(10) = 7 che corrisponde ad un pH neutro. 

(6) “Ln” è il logaritmo naturale, cioè in base 2,718, mentre “Log” è il logaritmo in base 10.

Potere solvatante dell’acqua

Riprendiamo i ragionamenti fatti nel precedente articolo ma ponendo il focus sul solo ione sodio circondato (solvatato) da “n” molecole d’acqua e trascuriamo per ora lo ione cloro. Rifacendo gli stessi calcoli otteniamo: 

Risolvendo il sistema si ottiene:

Ricordando che EN = EN(Na) = EN(H) = EN(O), una volta ottenuto il valore di EN si ottengono facilmente i valori di q(Na), q(H) e q(O):

Verifichiamo la variabilità di questi valori in funzione del numero “n” di molecole d’acqua che circondano (solvatano) lo ione sodio. In particolare analizziamo i valori di EN, q(Na), q(H) e q(O) al variare di “n” riassunti in tabella:

Si può constatare che EN, q(Na), q(H) e q(O) per n > 2 variano pochissimo. In particolare si vede che già per valori di n pari a 9 ci avviciniamo all’elettronegatività dell’acqua pura pari a 2,49.

Rifacendo gli stessi calcoli per lo ione cloro (trascurando dunque temporaneamente lo ione sodio) otteniamo:

Anche per il cloro si può constatare che EN, q(Cl), q(H) e q(O) oltre un certo valore di n variano pochissimo. In questo caso anziché n > 2 abbiamo n > 8 ma vale lo stesso discorso. Nel caso del cloro inoltre, per arrivare ai valori di elettronegatività prossimi a quelli dell’acqua pura occorre arrivare a n> 150.

Anche se noi in questi due ultimi articoli abbiamo fatto i nostri ragionamenti col cloruro di sodio, è forse inutile sottolineare che questo semplice metodo è generalizzabile a tutti i soluti(1)

Partendo dal numero di atomi d’acqua nmax al disopra del quale essa non è praticamente più in grado di polarizzare l’atomo soggetto a solvatazione, e tenendo conto che questo numero è variabile da atomo ad atomo, è possibile individuare per ciascun atomo un raggio d’azione dell’effetto polarizzante(2).

Ad esempio, per l’atomo di sodio (nmax= 20) otteniamo rmax ≈ 5 Å e per il cloro (nmax= 150) otteniamo rmax ≈ 10 Å.

Questo risultato è estremamente importante perché, pensandoci bene, partendo dall’approccio lagrangiano, siamo arrivati a trovare la dimensione delle zone di solvatazione, cioè la dimensione di porzioni in cui l’acqua è perturbata rispetto ad altre porzioni in cui l’acqua non lo è(3).

Alcuni chimici(4) individuano i soluti cosiddetti “interruttori” come il sodio, dove è difficile distinguere la zona A dalla zona B: in presenza di questo tipo di soluti, l’acqua ha difficoltà a riorganizzarsi. I soluti cosiddetti “strutturanti” al contrario, favoriscono una separazione netta della zona A dalla zona B. Quest’ultima specie di soluti sono in grado non solo di interrompere i legami a idrogeno, ma anche di riorganizzarli cambiando la configurazione che avevano precedentemente(5).

L’approccio lagrangiano ci ha consentito di identificare le porzioni di influenza della solvatazione ma purtroppo non ci consente di capire meglio quali sono le modifiche strutturali dell’acqua appartenente alla zona di interfaccia fra acqua di solvatazione e acqua imperturbata. Ad esempio sarebbe interessante capire meglio come cambia il rapporto fra pentameri ed esameri in funzione del soluto coinvolto nella solvatazione. La potenza e velocità di calcolo degli attuali calcolatori consente di fare questo tipo di simulazioni; purtroppo non sono ancora riuscito a trovare studi in tal senso.

Torino 9 febbraio 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) La formula generale valida per qualunque tipo di atomo è:

Essendo:

  • n            il numero di atomi d’acqua solvatanti
  • z             il numero atomico dell’atomo A solvatato
  • EN(A)    l’elettronegatività dell’atomo A solvatato

(2) Partendo dal numero di Avogadro N = 6,02×1023 e sapendo che in base alla massa molecolare, N molecole d’acqua occupano 18 cc, ogni molecola d’acqua occupa mediamente 18/N = 3,1×10-23 cc. Chiamando nmax il numero massimo di molecole d’acqua al disopra del quale non vi è praticamente più effetto polarizzante, il volume in questione è pari a 3,1nmax10-23 cc, ossia una sfera di raggio pari a circa  

(3) La figura sotto riportata rappresenta la zona circostante agli atomi solvatati. Nella fattispecie, la zona A rappresenta le molecole d’acqua direttamente a contatto col soluto S e dunque più o meno polarizzate a seconda dell’atomo solvatato (in chimica questa zona di influenza del soluto è chiamata “sfera di coordinamento” ed ha un raggio medio all’incirca costante e pari a circa 5 Å). La zona C rappresenta l’acqua non interessata alla solvatazione e dunque si presenta sottoforma di molecole d’acqua soggette al legame idrogeno e dunque disposte in catene lineari più o meno lunghe o in catene cicliche. Infine la zona B è una zona di interfaccia in cui le molecole d’acqua subiscono l’influenza sia da parte delle molecole della zona A, sia di quelle imperturbate della zona C. Il raggio minimo della zona B è pari a quello della zona A (≈5 Å) mentre il raggio massimo è calcolabile con la formula indicata nella nota 2) precedente.

(4) Ad es. si veda H.S. Frank & W.Y. Wen – Discussions of the Faraday Society – 24, 133 (1957).

(5) In un successivo articolo approfondiremo meglio questo tema.

L’acqua impura

Il concetto di purezza non è altro che una idealizzazione perché tutto è imperfetto. Anche se dovesse mai nascere qualcosa di puro esso verrebbe istantaneamente contaminato e perderebbe dunque la sua purezza. L’acqua non fa eccezione e dunque la domanda è lecita: ha senso studiare tanto approfonditamente l’acqua pura se, in pratica essa la troviamo sempre mista a particelle in sospensione/soluzione, o con gas disciolti al suo interno o contaminata in altro modo?

Proviamo ad approfondire il comportamento dell’acqua in presenza di altre sostanze cominciando con l’acqua salata del mare e che costituisce una quota importante del liquido amniotico.

Il sale da cucina contenuto nell’acqua di mare è quasi totalmente costituito da ioni sodio e ioni cloro che si combinano per dare il Cloruro di sodio NaCl e lo si ottiene molto facilmente come residuo solido facendo banalmente evaporare l’acqua. Utilizzando il metodo semplificato dell’elettronegatività già utilizzato in precedenza per l’acqua(1), dalla tabella di Henry otteniamo per il sodio EN0(Na)=1,01 e per il cloro EN0(Cl)=2,83 e applicando le formule già viste in precedenza(1) otteniamo:

Per il principio di conservazione della carica abbiamo q(Na) + q(Cl) = 0 e per la molecola di cloruro di sodio vale la relazione EN(Na) = EN(Cl) = EN(NaCl).

Facendo i calcoli otteniamo: EN(NaCl) = 1,70   q(Na) = +0,50 e q(Cl) = -0,50.    

Eseguiamo il medesimo calcolo per l’HCl ricordando che per l’idrogeno dalla tabella di Henry troviamo EN0(H) = 2,1 e per il cloro abbiamo q(Cl) = -0,17. Come si vede, la differenza di elettronegatività è assai rilevante: -0,50 contro -0,17; è questo il motivo per il quale l’atomo di cloro piuttosto che unirsi a quello di idrogeno per dare origine ad un gas maleodorante come l’acido cloridrico (HCl), predilige unirsi a quello di sodio dando vita ad un cristallo solido a struttura cubica(2). Tenendo conto che nel cloruro di sodio allo stato di vapore, la distanza fra atomo di sodio e atomo di cloro è circa pari a 2,36 Å, applicando la legge di Coulomb si trova un’energia elettrostatica pari a -35 kcal/mol(3), cioè quasi il triplo di quella relativa al legame a idrogeno(4). Si tratta dunque di un legame che rimane molto stabile anche ad alte temperature.    

Le cose cambiano radicalmente se gettiamo il sale in acqua. Immaginiamo idealmente di poter avvicinare una molecola d’acqua ad una di cloruro di sodio sufficientemente da ottenere una molecola NaClH2O, cioè tanto vicino che la nuvola elettronica ronzi attorno all’insieme di tutti gli atomi costituenti questa nuova “molecola”. Applicando il nostro metodo a questo nuovo insieme di atomi otteniamo:

Anche in questo caso, per il principio di conservazione della carica abbiamo q(Na) + q(Cl) + 2q(H) + q(O) = 0 e anche per questa nuova “molecola” vale la relazione EN(Na) = EN(Cl) = EN(H) = EN(O) = EN(NaClH2O) in quanto siamo partiti da due molecole – quella dell’acqua e quella del cloruro di sodio – entrambe neutre.

Il risultato è EN(NaClH2O) = 2,13 q(Na) = +0,82 q(Cl) = -0,31 q(H) = +0,02 q(O) = -0,54.

Constatiamo che il valore di q(Na) è cresciuto notevolmente passando da +0,50 a +0,82. Se aggiungiamo altre molecole d’acqua all’insieme e rifacciamo i calcoli per una ipotetica “molecola” NaCl(H2O)n costituita da una molecola di cloruro di sodio e “n” molecole d’acqua, all’aumentare del numero di molecole d’acqua otteniamo un progressivo aumento del valore di q(Na) fino superare +1,0 (=2×0,5), valore tale da rendere più conveniente per il sodio associarsi all’acqua piuttosto che al cloro(5). Per sapere quanto vale “n” affinchè q(Na) ≥ +1 basta applicare la formula q(Na) + q(Cl) + 2nq(H) + nq(O) =0.

A calcoli fatti risulta un valore di “n” compreso fra 4 e 5, molto vicino a 5, il che significa che quando il rapporto fra molecole di H2O e NaCl supera 5, il sodio preferirà unirsi alle molecole di acqua piuttosto che associarsi al cloro. Tenendo conto che il cloruro di sodio ha massa molecolare pari a 58,44 g/mol e che l’acqua ha 18,02 g/mol, se in una pentola versiamo cento grammi di sale da cucina in 1.000 grammi d’acqua e poi accendiamo il fornello per far evaporare l’acqua, finchè l’acqua liquida non si ridurrà a soli 154 grammi non assisteremo alla precipitazione del sale sottoforma di cristalli solidi. In altre parole, il sale da cucina è talmente solubile in acqua che basta un rapporto in peso di 2:3 per avere completa solubilità.Raccontato in altre parole, le molecole d’acqua, organizzate in gruppetti, circuiscono gli atomi di sodio invitandoli a interrompere il loro rapporto monogamico col cloro per passare ad un rapporto poligamico. Per far ciò le molecole d’acqua circondano letteralmente il sodio come farebbe un gruppo di invitanti sirene che, per essere sempre più convincenti aumentano via via di numero finchè non riescono a “convincere” il malcapitato atomo di sodio a tradire il cloro e a cominciare una relazione “orgiastica” con loro. A quel punto il sodio, circondato dalle molecole d’acqua, non può far altro che abbandonare il cloro e farsi circuire dalle molecole d’acqua. I chimici chiamano questo fenomeno solvatazione.  

Torino 19 gennaio 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) Vedi l’articolo precedente “La chimica semplice applicata all’acqua”.

(2) Come mostra la figura sottoriportata, nel cristallo di cloruro di sodio ogni atomo di sodio è circondato da sei atomi di cloro e viceversa, ogni atomo di cloro è circondato da sei atomi di sodio.

(3) Partendo dalla formula E = e2q1q2/(4πε0r) (con r espresso in Å) e ponendo e2/4πε0 = 332, r= 2,36,  q1 = +0,50 e q2 = -0,50, otteniamo E = -35 q1q2/r = [kcal/mol].

(4) Vedi l’articolo precedente “La chimica semplice applicata all’acqua”.

(5) Il grafico sottostante mostra l’aumento asintotico dell’elettronegatività del sodio all’aumentare delle molecole d’acqua vicine all’atomo. Si vede facilmente che quando abbiamo più di 5 molecole d’acqua per ogni molecola di cloruro di sodio, il sodio si scombina dal cloruro di sodio e si associa all’acqua.

Forma polimerica dell’acqua

Gli approfondimenti fatti nell’articolo precedente “La chimica semplice applicata all’acqua”, ci portano in modo naturale verso una modellizzazione dell’acqua liquida di tipo polimerico(1) e, in particolare, da quanto visto finora è facile constatare che questo tipo di associazione polimerica delle molecole d’acqua difficilmente dovrebbe mantenersi a temperature superiori a 100°C; in realtà è stato dimostrato sperimentalmente che la forma dimerica coesiste anche allo stato di vapore e a temperature ben superiori ai 100°C(2). Ma in ogni caso a noi interessa ciò che accade a temperature inferiori ai 100°C dove, al ridursi della temperatura cominciano a manifestarsi forme oligomeriche via via più complesse. In particolare le molecole possono associarsi in fila indiana a formare catene lineari via via più lunghe (forme alifatiche), ovvero assumere forme a catena chiusa (associazioni di tipo aromatico). Senza entrare troppo nel dettaglio della fisica che sottende a questa materia, conoscere i dettagli di questo modello detto “modello continuo” (o anche chiamato modello polimerico) corrisponde a conoscere la struttura dell’acqua a certe condizioni di temperatura e pressione ed equivale ad essere in grado di rispondere ai seguenti punti:

  • Conoscere il numero di molecole coinvolte rispettivamente da zero, uno due, tre o quattro legami a idrogeno
  • Sapere quante delle molecole coinvolte dai legami idrogeno formano oligomeri a catena aperta rispetto a quelli a catena chiusa
  • individuare la forma tipologica in funzione del numero di cicli o di catene aperte

Se aggiungiamo il fatto che il tutto si gioca in domini di dimensione compresa fra 3 e 20 Angstron, è facile capire perché siamo lontani dal poter ambire a conferme di tipo sperimentale mentre esistono diverse valide simulazioni numeriche. La simulazione di qualche migliaio di molecole richiede già risorse di calcolo importanti; la simulazione di un’intera goccia d’acqua (costituita da circa 1021 molecole) sarebbe assai più onerosa. Il modello polimerico considera l’acqua liquida come una rete di legami idrogeno più o meno regolari e risponde molto bene a molti quesiti squisitamente chimici.  I fisici preferiscono il cosiddetto “modello discreto” dove l’acqua è costituita da una miriade di microscopici ghiaccioli, ciascuno costituito da non più di un centinaio di molecole e aventi vita media brevissima (il tempo intercorrente fra la formazione del ghiacciolo ed il suo dissolvimento è pari a circa un pico-secondo). Il motivo di tale preferenza da parte dei fisici è che questo modello, al contrario di quello polimerico, può essere riscontrato sperimentalmente mediante l’uso della spettroscopia infrarossa o Ramàn. Nella scelta fra i due approcci ci troviamo dunque davanti al dilemma di un modello – quello continuo –  non sperimentabile ma che riesce a spiegare quasi tutti i comportamenti cosiddetti “anomali” dell’acqua, rispetto al modello discreto, riscontrabile sperimentalmente ma che non riesce a spiegare molti dei comportamenti anomali dell’acqua liquida. Comunque vediamo un po’ più in dettaglio il modello discontinuo al fine di verificare in cosa si discosta dal modello continuo. Cominciamo col cercare di capire cosa sia esattamente il ghiaccio e perché si forma. Man mano che la temperatura scende, l’energia termica riesce sempre meno a contrastare l’effetto aggregante dei legami a idrogeno i quali favoriscono la formazione di polimeri a forma lineare e ciclica con un aumento percentuale della forma ciclica rispetto a quella lineare man mano che la temperatura scende. In particolare nell’acqua fredda la concentrazione di aggregati a cinque molecole (pentameri) e a sei molecole (esameri) risultano predominanti rispetto ad aggregati con numeri di molecole inferiori o superiori(3).  Analizzando il ghiaccio mediante diffrazione ai raggi X (o ancor meglio neutroni) troviamo il tipico reticolo esagonale; per ovvie ragioni di elettrostatica i vari layers non potrebbero mai essere pentagonali, pena l’instabilità della struttura cristallina. Ecco dunque che al disotto di 10°C, i cicli esagonali cominciano ad aggregarsi fra loro espandendosi e costringendo i cicli pentagonali ad occupare gli interstizi rimasti disponibili. Al disotto di 0°C gli esameri diventano predominanti e tendono ad occupare tutti gli spazi costringendo i pochi pentameri rimasti a disgregarsi, a “evadere” dalla matrice cristallina in formazione e a tornare molecole monomeriche. A questo punto risulta anche facile capire perchè il ghiaccio, essendo formato unicamente da layers esagonali regolarmente sovrapposti l’uno sull’altro risulti meno denso dell’acqua liquida fredda (cioè a temperatura compresa fra 0°C e 4°C) dove le lacune delle matrici esagonali ancora incomplete vengono colmate da pentameri(4).     

Il modello dei “ghiaccioli microscopici” prevede invece una gran quantità di molecole completamente disordinate fra le quali sono incluse piccole porzioni formate ciascuna da solo un centinaio di molecole completamente ordinate  in forma esagonale. E’ difficile spiegare come così poche molecole ordinate abbiano l’energia per incentivare la disgregazione o, ancor peggio, per aggregare nuove molecole libere d’acqua originariamente slegate fra loro. Inoltre, non avendo a che fare con un mezzo omogeneo, l’energia in questione sarebbe esclusivamente di tipo interfacciale. Queste problematiche non si pongono invece per il modello polimerico in quanto il mezzo risulta tutto omogeneamente costituito da polimeri di varia taglia, di cui molti ramificati, sia lineari sia ciclici.

In base a queste considerazioni, escludendo (come accennavo sopra) la comunità dei fisici, si tende a prediligere il modello continuo e dunque, nei prossimi articoli di approfondimento, abbandoneremo completamente il modello discreto.    

Poi in uno studio di ulteriore dettaglio saremo costretti ad abbandonare anche il modello polimerico per approdare al modello dell’acqua interfacciale(5), ma questo sarà l’oggetto di una nuova affascinante avventura dove saremo presi per mano dal grande Gerald Pollack.

Torino 13 gennaio 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) Il modello della cosiddetta “poliacqua” non ha portato molta fortuna agli studi di approfondimento di questa preziosa sostanza. Infatti il cosiddetto “polywater disaster” è stato uno dei due incidenti di percorso (l’altro è il famoso “affaire Benveniste”), che hanno impedito agli scenziati del secolo scorso di progredire negli studi di approfondimento sull’acqua.  Negli anni ’60 il chimico russo Nikolai Fedyakin scoprì che l’acqua, in certe condizioni diventava difficile da congelare e/o da vaporizzare. Si rivolse al più grande chimico russo dell’epoca (Boris Derjaguin) che rimase affascinato dalla scoperta e dedicò un’intera squadra di ricerca all’approfondimento di questo fenomeno. Il facile sensazionalismo di un incauto giornalista occidentale lo ha portato a scrivere che, in base alle affermazioni di Derjaguin, una goccia di acqua polimerizzata fatta cadere nell’oceano avrebbe portato alla polimerizzazione di tutta l’acqua del globo trasformandola in una gelatina inutile ed è così riuscito a spaventare l’opinione pubblica mondiale dell’epoca. La guerra fredda ha fatto il resto: non dimentichiamo infatti che era l’epoca in cui USA e URSS facevano a gara per primeggiare scientificamente e tecnologicamente e l’URSS aveva già messo a segno dei colpi importanti in campo aerospaziale. Anche sfruttando lo spavento suscitato dal giornalista, non fu difficile per gli “scienziati” occidentali, demolire il lavoro fatto dall’equipe di Derjaguin e sostenere che l’acqua utilizzata per gli esperimenti non era pura e ciò non poteva che falsare i risultati della sperimentazione. Oggi sappiamo bene che, per via delle suo ampio spettro di solvenza e per altre caratteristiche tipiche e singolari che contraddistinguono l’acqua, il concetto di “acqua pura” è una vera e propria chimera ma, all’epoca dei fatti, l’azione denigratrice fu talmente forte da far cadere la “poliacqua” nel ridicolo, tanto che, alla fine, lo stesso Derjaguin fu costretto a cedere.

(2) Vedi nota (11) del precedente articolo “La chimica semplice applicata all’acqua”.

(3) Il grafico sottoriportato indica la concentrazione dei vari polimeri nell’acqua fredda. Come si vede spiccano i pentameri con concentrazione che sfiora il 40% e gli esameri con concentrazione pari a circa il 25%.

(4) Chi abita in luoghi freddi sa che per evitare la rottura delle tubazioni dell’acqua è necessario evitare il ghiacciamento. In realtà a rompere le tubazioni non è tanto il ghiacciamento, bensì l’aumento di volume specifico che ne consegue (cioè la riduzione della densità). Dato che la massima densità la si ottiene a 4°C quando l’acqua è ancora liquida, in realtà l’aumento di volume specifico comincia già prima del raggiungimento delle condizioni di ghiacciamento. Nella pratica, si prevede di mantenere la temperatura dell’acqua nelle tubazioni al di sopra di 4°C anzi, di solito, al fine di garantire condizioni di sicurezza, la funzione anti-ice negli impianti di riscaldamento in montagna prevede temperature non inferiori a 7°C (o anche non inferiori a 9°C).

(5) In successivi articoli approfondiremo questo argomento importantissimo che, come vedremo ha delle conseguenze importanti su alcuni capisaldi di termodinamica ormai consolidati.

La chimica semplice applicata all’acqua

In meccanica razionale si studia la meccanica analitica dove si approfondiscono due approcci alternativi a quello classico newtoniano: il cosiddetto metodo hamiltoniano e quello cosiddetto lagrangiano.

Il metodo hamiltoniano analizza ogni singola particella in termini di posizione (coordinate spaziali) e momenti associati a traslazioni (impulso) e rotazioni (spin). Il metodo lagrangiano invece tratta la materia nel suo insieme e analizza la densità delle particelle in essa contenute; in particolare consiste nell’integrazione della densità di particelle su tutte le variabili spaziali e di spin lasciandone una libera. Ad esempio, esprimendo l’energia in funzione della densità di particelle si arriva ad una soluzione che “minimizza” l’energia(1).  

La chimica studia il comportamento degli elettroni che in fisica vengono studiati mediante la meccanica quantistica. La famosa equazione di Schroedinger deriva dall’equazione differenziale di Dirac(2) ma pochi sanno che Dirac, per la sua formulazione segue rigorosamente il metodo hamiltoniano. Più in generale l’approccio alla meccanica quantistica è quasi sempre quello hamiltoniano. Pochi sanno che è possibile affrontare la meccanica quantistica anche con approccio lagrangiano. E’ chiaro che con questo approccio “si perde informazione”, nel senso che non ci consente di “inseguire” ogni singola particella (in questo caso elettrone) e studiarne le vicissitudini (posizioni e movimenti in ogni istante). Ma se a noi basta avere informazioni globali e analizzare gli elettroni nel loro insieme questo approccio può risultare più che sufficiente per i nostri scopi.

Sulla struttura intermolecolare dell’acqua i filoni di ricerca in corso possono essere suddivisi in due categorie: quelli che fanno uso di modelli continui e quelli che si basano su modelli discreti. E’ importante specificare che l’approccio dei fisici, dei chimici e dei biologi (compresi i microbiologi) è differente. Una fra le due ipotesi più accreditate considera l’acqua un mezzo continuo, anche se flessibile per via dei legami a idrogeno, mentre l’altra considera l’acqua una moltitudine di microscopici ghiaccioli dissolventisi in tempi brevissimi e immersi in acqua allo stato liquido. La prima teoria riesce a spiegare molto bene molti dei comportamenti dell’acqua non solo pura, ma anche in presenza di sostanze in soluzione o in sospensione ma, con gli strumenti di misura attualmente disponibili, purtroppo non è verificabile sperimentalmente in laboratorio anche se, i moderni supercalcolatori riescono a simulare egregiamente questo modello. La seconda teoria risulta invece sperimentabile e confermata dagli esperimenti di laboratorio ma non riesce a spiegare molti dei comportamenti dell’acqua. Come si vede è difficile scegliere la visione continua scartando quella discontinua o viceversa; più in generale questa scelta di campo è difficile da fare nell’interpretazione delle morfologie spazio-temporali: si torna all’antica aporia greca fra riduzionismo e platonismo.          

Pur essendo la sostanza di gran lunga più abbondante nella materia biologica, per lungo tempo l’acqua è stata sottovalutata dalla biologia e considerata semplicemente una massa neutra e ininfluente: tuttalpiù un solvente. Finalmente gli scienziati hanno evidenziato il suo ruolo di matrice della vita grazie anche alla sua capacità di andare in risonanza con un campo elettromagnetico come abbiamo avuto modo di vedere in precedenti articoli(5).

Se andiamo a ben guardare, l’argomento di cui ci stiamo occupando coinvolge la fisica, la chimica e la biologia e fortunatamente non richiede un’analisi spinta del comportamento di ogni singolo elettrone, dunque, per i nostri scopi, l’approccio lagrangiano può essere considerato più che sufficiente. E’ chiaro che per un fisico un approccio di questo tipo risulta insufficiente per l’oggetto dei suoi studi e per il livello di approfondimento da lui richiesto ma ciò non è altrettanto vero per un chimico né, men che mai, per un biologo. Dunque per non costringere chimici e biologi a scervellarsi inutilmente con equazioni differenziali particolarmente complicate, mi è sembrato assai interessante rispolverare uno studio fatto da Henry(3) che, applicando il metodo lagrangiano arriva ad una formulazione matematicamente molto semplice in grado di analizzare i legami chimici in funzione di due parametri: l’elettronegatività dei reagenti introdotta da Pauling nel 1932(4) e  la“durezza” / “mollezza” introdotta da Pearson nel 1963(6).    

Henry costruisce una tabella come quella di Mendeleiev inserendo per ogni elemento la sua elettronegatività ed il suo raggio atomico (per comodità nel proseguo chiameremo questa tabella “tabella di Henry(7)). Inoltre, considerando che la durezza è inversamente proporzionale al raggio atomico  (d = ka/r) e che, in base alla legge di Coulomb, l’elettronegatività è inversamente proporzionale al quadrato del raggio atomico (EN = kb/r2), trova che la durezza è proporzionale alla radice quadrata dell’elettronegatività (d=k√EN) e che il coefficiente di proporzionalità è, con buona approssimazione pari a 1,36. Considerando che l’elettronegatività varia in modo proporzionale al numero di elettroni acquistati/persi, possiamo scrivere per ogni atomo coinvolto in una reazione chimica la seguente semplice relazione: (EN = EN0 + qd = EN0 + 1,36q√EN0) essendo EN0 l’elettronegatività iniziale dell’atomo e q la frazione di elettroni acquistati o ceduti durante la reazione. In particolare, essendo interessati all’acqua, troviamo dalla tabella di Henry  EN0(H) = 2,1 ed EN0(O) = 3,5.

Per il principio di conservazione della carica abbiamo 2q(H) + q(O) = 0 e per la molecola dell’acqua vale la relazione EN(H) = EN(O) = EN(H2O).

Facendo i calcoli otteniamo: EN(H2O) = 2,491   q(H) = +0,20 e q(O) = -0,40.     

Questo semplice calcolo mostra che la molecola d’acqua è fortemente polare e gli elettroni tendono prevalentemente a “ronzare” attorno all’atomo di ossigeno lasciando un corrispondente “vuoto”  di elettroni equamente distribuito fra i due atomi di idrogeno.  

La forte polarità spiega perché a temperatura ambiente l’acqua non possa essere allo stato di vapore e, se si accetta l’ipotesi del modello continuo, la forte polarità spiega anche la ragione per la quale le molecole d’acqua tendono ad allinearsi l’una con l’altra a formare dei polimeri a struttura lineare o ciclica. Almeno la struttura dimerica è stata riscontrata per il vapore acqueo(8).  Questo tipo di legame intermolecolare è chiamato “ponte a idrogeno” e riguarda gli elementi con elettronegatività superiore a 3(9) (esclusi i gas nobili); solo se EN > 3 il legame è molto forte e in grado di resistere all’agitazione termica. Ad esempio, se al posto dell’ossigeno (EN=3,50) prendiamo lo zolfo (EN=2,48), applicando al H2S lo stesso calcolo fatto per l’H2O otteniamo EN(H2S) = 2,22 q(S) = -0,12 e q(H) = +0,06, cioè valori di “q” assai più bassi di quelli ottenuti per l’acqua e dunque questo legame è facilmente dissociabile dall’agitazione termica.

L’energia che tiene legate fra loro due molecole adiacenti è quella dovuta alla forza di Coulomb(10). Tenendo conto del fatto che, per la molecola d’acqua a temperature ambiente, la distanza media intermolecolare è pari a circa 2 Å e che la forza in questione è quella di attrazione fra uno dei due atomi di idrogeno (q1 = +0,20) di una delle due molecole e l’atomo di ossigeno della seconda (q2=-0,40) otteniamo E≈-13 [kcal/mol].

Facendo lo stesso calcolo per l’H2S(11) otteniamo invece E≈-0,9 [kcal/mol], cioè un valore nettamente inferiore.  L’agitazione termica è una energia proporzionale all’energia cinetica media delle molecole(12) che aumenta all’aumentare della temperatura e che va a contrastare l’energia di legame debole di attrazione intermolecolare: se questa è piccola come nel caso dell’H2S il legame non permane e a temperatura ambiente troviamo questa sostanza allo stato gassoso nocivo da respirare, mentre se è elevata come nel caso dell’acqua, questo legame resiste all’agitazione termica(13) e a temperatura ambiente troviamo l’acqua liquida ottima da bere. Solo per avere un termine di paragone il legame a idrogeno dell’acqua è circa 5 volte più forte di un legame di Van der Waals e 20 volte più debole di un legame covalente(14).

Torino 15 dicembre 2019

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) Su questo argomento, si veda una delle più belle lezioni fatte da Richard Feynman sul principio di minima azione (vedi ad es. il cap. 19 del libro “La fisica di Feynman” – tomo 2 – “Elettromagnetismo e materia” – Ed. Zanichelli, 2015).

(2) La formula di Dirac è un’equazione differenziale alle derivate parziali che viene risolta da Schroedinger mediante la separazione delle variabili spaziali e di spin.   

(3) Marc Henry – Un model global de liaison chimique – Sciences du vivant – L’eau – Vol. 1 – Trames, boucles & turbulances –– Société éditrice Arys, Paris – n. 2 -1er trimestre 1991

(4) L. Pauling – J. Am. Chem. Soc., Vol. 54 – 1932)

(5) Si veda in particolare l’articolo precedentemente pubblicato in questo blog intitolato “I domini di coerenza dell’acqua”. 

(6) R. G. Pearson – J. Am. Chem. Soc., Vol. 85 – 1963).

(7)

(8) T.R: Dyke, K. M. Mack, J.S. Muenter – J. Chem. Phys., 66, 498 (1977).  

(9) Dalla “tavola di Henry”, oltre all’ossigeno (EN(O)=3,50) ed escludendo alcuni gas nobili (EN(He) = 3,2 EN(Ne) =5,1 EN(Ar)=3,5 EN(Kr=3,1)) si vede che gli altri atomi con EN > 3 sono l’azoto (3,07) ed il fluoro (EN=4,1).

(10) E = e2q1q2/(4πε0r) = 332q1q2/r [kcal/mol] (con r espresso in Å).

(11) q1 = -0,12, q2 = +0,06, r ≈ 1,34 Å

(12) La formula è E = KbTf/2 essendo Kb la costante di Boltzmann Kb=1,380649×10-23 J/K, T la temperatura in gradi Kelvin e f è una costante che vale 3 per le molecole monoatomiche, 5 per le biatomiche e 6 per tutte le altre (fra cui H2O e H2S). Utilizzando questa formula per il caso dell’H2S a 37°C otteniamo E ≈ 0,6 [kcal/mol], valore di molto superiore all’energia di legame intermolecolare dell’H2S (che da un calcolo più rigoroso risulta essere pari a E=-0,3 [kcal/mol] contro il valore E=-0,9 [kcal/mol] calcolato con approccio lagrangiano). Per il caso dell’H2O sempre a 37°C otteniamo sempre E ≈ 0,6 [kcal/mol] come energia dovuta all’agitazione termica, valore di molto inferiore all’energia di legame intermolecolare dell’H2O (che da un calcolo più rigoroso risulta ad essere pari a E=-5,0 [kcal/mol] contro il valore E=-13,0 [kcal/mol] calcolato con approccio lagrangiano). Addirittura l’acqua resiste allo stato di dimero anche allo stato di vapore (a 100°C E≈0,9 [kcal/mol]) .

(13) Ovviamente l’approccio lagrangiano che abbiamo deciso di utilizzare non è rigoroso, infatti un calcolo rigoroso porterebbe a E = -5,0 kcal/mol per l’acqua e E = -0,3 kcal/mol per l’H2S. Comunque si tratta di un metodo molto interessante perché dà un’idea concreta di come stanno le cose e, soprattutto non costringe chimici e biologi a complicati calcoli matematici.

(14) Il legame di Van Der Waals è per esempio quello che tiene insieme le membrane cellulari mentre legami covalenti sono tutti quelli che tengono insieme le molecole più piccole presenti all’interno delle cellule (aminoacidi, acidi grassi, zuccheri, nucleotidi). Il legame a idrogeno, è sufficientemente forte da consentire alle proteine di assumere una forma tridimensionale e al DNA di mantenere la forma a doppia elica; d’altro canto non essendo troppo forte, come ad esempio quello covalente, il legame a idrogeno consente al DNA di aprire la doppia elica e dunque di consentire i meccanismi tipici della materia vivente.