Forma polimerica dell’acqua

Gli approfondimenti fatti nell’articolo precedente “La chimica semplice applicata all’acqua”, ci portano in modo naturale verso una modellizzazione dell’acqua liquida di tipo polimerico(1) e, in particolare, da quanto visto finora è facile constatare che questo tipo di associazione polimerica delle molecole d’acqua difficilmente dovrebbe mantenersi a temperature superiori a 100°C; in realtà è stato dimostrato sperimentalmente che la forma dimerica coesiste anche allo stato di vapore e a temperature ben superiori ai 100°C(2). Ma in ogni caso a noi interessa ciò che accade a temperature inferiori ai 100°C dove, al ridursi della temperatura cominciano a manifestarsi forme oligomeriche via via più complesse. In particolare le molecole possono associarsi in fila indiana a formare catene lineari via via più lunghe (forme alifatiche), ovvero assumere forme a catena chiusa (associazioni di tipo aromatico). Senza entrare troppo nel dettaglio della fisica che sottende a questa materia, conoscere i dettagli di questo modello detto “modello continuo” (o anche chiamato modello polimerico) corrisponde a conoscere la struttura dell’acqua a certe condizioni di temperatura e pressione ed equivale ad essere in grado di rispondere ai seguenti punti:

  • Conoscere il numero di molecole coinvolte rispettivamente da zero, uno due, tre o quattro legami a idrogeno
  • Sapere quante delle molecole coinvolte dai legami idrogeno formano oligomeri a catena aperta rispetto a quelli a catena chiusa
  • individuare la forma tipologica in funzione del numero di cicli o di catene aperte

Se aggiungiamo il fatto che il tutto si gioca in domini di dimensione compresa fra 3 e 20 Angstron, è facile capire perché siamo lontani dal poter ambire a conferme di tipo sperimentale mentre esistono diverse valide simulazioni numeriche. La simulazione di qualche migliaio di molecole richiede già risorse di calcolo importanti; la simulazione di un’intera goccia d’acqua (costituita da circa 1021 molecole) sarebbe assai più onerosa. Il modello polimerico considera l’acqua liquida come una rete di legami idrogeno più o meno regolari e risponde molto bene a molti quesiti squisitamente chimici.  I fisici preferiscono il cosiddetto “modello discreto” dove l’acqua è costituita da una miriade di microscopici ghiaccioli, ciascuno costituito da non più di un centinaio di molecole e aventi vita media brevissima (il tempo intercorrente fra la formazione del ghiacciolo ed il suo dissolvimento è pari a circa un pico-secondo). Il motivo di tale preferenza da parte dei fisici è che questo modello, al contrario di quello polimerico, può essere riscontrato sperimentalmente mediante l’uso della spettroscopia infrarossa o Ramàn. Nella scelta fra i due approcci ci troviamo dunque davanti al dilemma di un modello – quello continuo –  non sperimentabile ma che riesce a spiegare quasi tutti i comportamenti cosiddetti “anomali” dell’acqua, rispetto al modello discreto, riscontrabile sperimentalmente ma che non riesce a spiegare molti dei comportamenti anomali dell’acqua liquida. Comunque vediamo un po’ più in dettaglio il modello discontinuo al fine di verificare in cosa si discosta dal modello continuo. Cominciamo col cercare di capire cosa sia esattamente il ghiaccio e perché si forma. Man mano che la temperatura scende, l’energia termica riesce sempre meno a contrastare l’effetto aggregante dei legami a idrogeno i quali favoriscono la formazione di polimeri a forma lineare e ciclica con un aumento percentuale della forma ciclica rispetto a quella lineare man mano che la temperatura scende. In particolare nell’acqua fredda la concentrazione di aggregati a cinque molecole (pentameri) e a sei molecole (esameri) risultano predominanti rispetto ad aggregati con numeri di molecole inferiori o superiori(3).  Analizzando il ghiaccio mediante diffrazione ai raggi X (o ancor meglio neutroni) troviamo il tipico reticolo esagonale; per ovvie ragioni di elettrostatica i vari layers non potrebbero mai essere pentagonali, pena l’instabilità della struttura cristallina. Ecco dunque che al disotto di 10°C, i cicli esagonali cominciano ad aggregarsi fra loro espandendosi e costringendo i cicli pentagonali ad occupare gli interstizi rimasti disponibili. Al disotto di 0°C gli esameri diventano predominanti e tendono ad occupare tutti gli spazi costringendo i pochi pentameri rimasti a disgregarsi, a “evadere” dalla matrice cristallina in formazione e a tornare molecole monomeriche. A questo punto risulta anche facile capire perchè il ghiaccio, essendo formato unicamente da layers esagonali regolarmente sovrapposti l’uno sull’altro risulti meno denso dell’acqua liquida fredda (cioè a temperatura compresa fra 0°C e 4°C) dove le lacune delle matrici esagonali ancora incomplete vengono colmate da pentameri(4).     

Il modello dei “ghiaccioli microscopici” prevede invece una gran quantità di molecole completamente disordinate fra le quali sono incluse piccole porzioni formate ciascuna da solo un centinaio di molecole completamente ordinate  in forma esagonale. E’ difficile spiegare come così poche molecole ordinate abbiano l’energia per incentivare la disgregazione o, ancor peggio, per aggregare nuove molecole libere d’acqua originariamente slegate fra loro. Inoltre, non avendo a che fare con un mezzo omogeneo, l’energia in questione sarebbe esclusivamente di tipo interfacciale. Queste problematiche non si pongono invece per il modello polimerico in quanto il mezzo risulta tutto omogeneamente costituito da polimeri di varia taglia, di cui molti ramificati, sia lineari sia ciclici.

In base a queste considerazioni, escludendo (come accennavo sopra) la comunità dei fisici, si tende a prediligere il modello continuo e dunque, nei prossimi articoli di approfondimento, abbandoneremo completamente il modello discreto.    

Poi in uno studio di ulteriore dettaglio saremo costretti ad abbandonare anche il modello polimerico per approdare al modello dell’acqua interfacciale(5), ma questo sarà l’oggetto di una nuova affascinante avventura dove saremo presi per mano dal grande Gerald Pollack.

Torino 13 gennaio 2020

Gianfranco Pellegrini

Note

(1) Il modello della cosiddetta “poliacqua” non ha portato molta fortuna agli studi di approfondimento di questa preziosa sostanza. Infatti il cosiddetto “polywater disaster” è stato uno dei due incidenti di percorso (l’altro è il famoso “affaire Benveniste”), che hanno impedito agli scenziati del secolo scorso di progredire negli studi di approfondimento sull’acqua.  Negli anni ’60 il chimico russo Nikolai Fedyakin scoprì che l’acqua, in certe condizioni diventava difficile da congelare e/o da vaporizzare. Si rivolse al più grande chimico russo dell’epoca (Boris Derjaguin) che rimase affascinato dalla scoperta e dedicò un’intera squadra di ricerca all’approfondimento di questo fenomeno. Il facile sensazionalismo di un incauto giornalista occidentale lo ha portato a scrivere che, in base alle affermazioni di Derjaguin, una goccia di acqua polimerizzata fatta cadere nell’oceano avrebbe portato alla polimerizzazione di tutta l’acqua del globo trasformandola in una gelatina inutile ed è così riuscito a spaventare l’opinione pubblica mondiale dell’epoca. La guerra fredda ha fatto il resto: non dimentichiamo infatti che era l’epoca in cui USA e URSS facevano a gara per primeggiare scientificamente e tecnologicamente e l’URSS aveva già messo a segno dei colpi importanti in campo aerospaziale. Anche sfruttando lo spavento suscitato dal giornalista, non fu difficile per gli “scienziati” occidentali, demolire il lavoro fatto dall’equipe di Derjaguin e sostenere che l’acqua utilizzata per gli esperimenti non era pura e ciò non poteva che falsare i risultati della sperimentazione. Oggi sappiamo bene che, per via delle suo ampio spettro di solvenza e per altre caratteristiche tipiche e singolari che contraddistinguono l’acqua, il concetto di “acqua pura” è una vera e propria chimera ma, all’epoca dei fatti, l’azione denigratrice fu talmente forte da far cadere la “poliacqua” nel ridicolo, tanto che, alla fine, lo stesso Derjaguin fu costretto a cedere.

(2) Vedi nota (11) del precedente articolo “La chimica semplice applicata all’acqua”.

(3) Il grafico sottoriportato indica la concentrazione dei vari polimeri nell’acqua fredda. Come si vede spiccano i pentameri con concentrazione che sfiora il 40% e gli esameri con concentrazione pari a circa il 25%.

(4) Chi abita in luoghi freddi sa che per evitare la rottura delle tubazioni dell’acqua è necessario evitare il ghiacciamento. In realtà a rompere le tubazioni non è tanto il ghiacciamento, bensì l’aumento di volume specifico che ne consegue (cioè la riduzione della densità). Dato che la massima densità la si ottiene a 4°C quando l’acqua è ancora liquida, in realtà l’aumento di volume specifico comincia già prima del raggiungimento delle condizioni di ghiacciamento. Nella pratica, si prevede di mantenere la temperatura dell’acqua nelle tubazioni al di sopra di 4°C anzi, di solito, al fine di garantire condizioni di sicurezza, la funzione anti-ice negli impianti di riscaldamento in montagna prevede temperature non inferiori a 7°C (o anche non inferiori a 9°C).

(5) In successivi articoli approfondiremo questo argomento importantissimo che, come vedremo ha delle conseguenze importanti su alcuni capisaldi di termodinamica ormai consolidati.

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